Lɜ adolescentɜ con cui ci rapportiamo fanno parte della GenZ, detta anche iGen (Twenge, 2017). È la generazione dell’inclusione, la generazione green, ma anche la generazione social. Purtroppo la parola social non sempre è legata al suo significato intrinseco (sociale). Passare molto tempo sui social può significare isolarsi, dimenticarsi di come si instaurano dei rapporti umani autentici. Significa anche essere esposti ad una quantità di informazioni che non sempre si sanno analizzare adeguatamente, soprattutto se non si hanno ancora gli strumenti per farlo. Stare sui social significa ritrovarsi molto spesso a guardare i “successi” altrui, sotto ogni forma, dalle immagini continui di corpi “perfetto”, ai mille traguardi raggiunti con apparente facilità. Anche se la corrente sta cambiando, i social si inseriscono facilmente nella cosiddetta cultura della performance, dove gli obiettivi sono l’unica cosa che conta, dove sbagliare (o come si dice, fallire) non è concesso. L’imperfezione, che è, in realtà un valore umano, non è contemplata. Confrontarsi continuamente con una realtà virtuale di questo genere ci può far sentire “mai abbastanza” e per un adolescentɜ la cui autostima è estremamente fragile può avere delle conseguenze poco piacevoli. Per queste ragioni abbiamo scelto i social, punto di partenza per poi attraversare il tema dell’autostima, dando loro la possibilità di esplorare il proprio sé, il proprio io, riappropriandosi dei loro valori personali, una volta decostruiti quelli proposti da queste piattaforme.
Solo guardandoci dentro, solo imparando a conoscerci e a osservare con le giuste lenti il mondo in cui siamo inmersi, è possibile orientarsi ed è possibile, quindi, parlare di futuro.